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Porta San Tomaso

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Porta San Tomaso fronte
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Porta San Tomaso è una porta urbica facente parte del sistema difensivo delle mura cinquecentesche di Treviso, ricostruita nel XVI secolo in una posizione nordorientale rispetto al centro cittadino. Una collocazione, dunque, piuttosto periferica, ma certamente strategica, per assecondare la sua funzione di difesa e gestione delle operazioni militari, da inserirsi all'interno di un grande progetto urbanistico del primo Cinquecento che ripensava Treviso come una moderna città-fortezza. La storia della Porta San Tomaso si lega indissolubilmente con le vicende storiche che coinvolsero la città di Treviso, e non solo, agli inizi del XVI secolo. Si tratta difatti di un edificio ricostruito da una precedente struttura medievale in un periodo, il primo Cinquecento, particolarmente critico, poiché, a causa dell'esteso dominio raggiunto dalla Repubblica di Venezia (in cui era compreso anche il suolo trevigiano), venne creata da diverse potenze europee una coalizione anti-veneziana, conosciuta come Lega di Cambrai, per ridimensionarne l'egemonia. La guerra che la lega di Cambrai mosse nei confronti della Serenissima la costrinse, tra il 1509 e il 1518, a "mutar faccia", ossia a provvedere ad un piano di ricostruzione per consolidare le sue difese dello "Stato da Tera", soprattutto nella città di Padova e Treviso, sul confine dei possedimenti già diminuiti in estensione dall'avanzamento nemico. A Treviso, in cui il progetto di riorganizzazione degli apparati difensivi venne affidato all'esperto di fortificazioni militari fra' Giovanni Giocondo e al Comandante Generale Bartolomeo d'Alviano, si procedette alla demolizione di mura e borghi medioevali, per la realizzazione di un sistema bastionato più regolare del precedente, dal perimetro trapezoidale, circondato da un fossato e affacciato su una strategica spianata ottenuta mediante il "guasto". Una particolare attenzione venne destinata alla porte urbane, che si preferì ridurre di numero (dalle dodici delle mura primitive alle tre rinascimentali) per limitare il più possibile gli accessi alla città, edificando ex-novo le porte di Santi Quaranta e di San Tomaso (pur preservando il nome dei relativi borghi) e mantenendo nel suo assetto originale solo Porta Altinia. La collocazione delle porte lungo le mura perimetrali era pensata, oltre che per meglio definire gli assi urbani di riferimento nella gestione dei flussi logistici interni, per proteggere maggiormente la città nei punti più deboli, dai quali avrebbero potuto provenire le principali minacce, ossia rispettivamente l'entroterra padano (a ovest, verso Vicenza) e le Prealpi venete (a nord, verso Belluno). Queste ultime in particolare costituivano un potenziale pericolo poiché connesse, mediante la strada Alemanna che giungeva proprio a Porta San Tomaso, con il Sacro Romano Impero, schierato contro la Serenissima. La porta venne costruita nel 1518, in soli dieci mesi, a cura del podestà Paolo Nani, a cui si deve l'originale appellativo auto-encomiastico di porta Nana. Si decise di collocarla in una posizione più settentrionale rispetto a quella precedente (ma pur sempre lungo il perimetro murario), affacciandosi a nord verso l'omonima via Nana, comunemente chiamata viale Vittorio Veneto (che si incrocia perpendicolarmente, dinanzi alla porta, con la strada statale 13 Pontebbana). Assunse successivamente altre denominazioni, ad esempio divenne Porta Napoleona e, tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo, Porta Mazzini. Il nome originale le venne riattribuito dal Senato Veneto per opera di Francesco Mocenigo, l'allora podestà e capitano di Treviso, per commemorare l'antica porta trecentesca che lì sorgeva a celebrazione dell'arcivescovo di Canterbury Thomas Becket. In seguito alla costruzione della porta, in una clima più rilassato e propenso all'ornamento, sollevato dalle preoccupazioni della guerra, vi sono state svariate attività di manutenzione, promosse in primis dall'intransigente Repubblica di Venezia, piuttosto severa in merito al mantenimento dell'integrità delle strutture difensive, tanto che i vari podestà le inviavano annualmente una relazione sullo stato delle cose. Si ricorda ad esempio il restauro del 1703 dovuto ad un pericolo di crollo, testimoniato da un'iscrizione nel fregio dell'architrave della facciata esterna, in cui si legge distintamente RESTAU ANNO DOMINI MDCCIII. Un timore, questo, espresso anche dalle parole del podestà-capitano Federico Renier nella sua relazione del 1702 al doge. Un altro intervento principale riportato dall'Archivio comunale di Treviso è quello risalente al 1827, indetto dalla Depurazione all'Ornato pubblico e volto alla sistemazione della copertura, la cui struttura lignea a sostegno delle lastre di piombo venne poi rifatta all'inizio del XX secolo. Una forte criticità della porta era inoltre dovuta ad alcuni problemi strutturali causati dal fatto che le sue fondazioni fossero immerse nelle acque del fiume Botteniga, oltre alla sua esposizione al traffico automobilistico (e non solo: fra il 1910 e il 1938 la porta fu attraversata del binario della linea 1 della rete tranviaria di Treviso), che provocava dannose vibrazioni. A seguire la ripulitura degli intonaci del vano di passaggio e delle facciate del 1931 compiuta dal restauratore Mario Botter, grazie alla quale riemersero gli originali valori cromatici oscurati dai gas di scarico e rovinati da alghe e licheni. O ancora, gli ultimi restauri del 2007, a cura del comune di Treviso, e del 2012, finanziato da Vento Banca. Per alcune affinità stilistiche e tecnologiche con Porta Portello a Padova, si attribuisce l'idea progettuale al suo stesso autore, ossia Guglielmo d'Alzano detto Bergamasco. Tuttavia non vi è alcuna certezza sull'identità del progettista, in quanto i documenti pervenutoci non svelano in modo chiaro il nome dell'autore. Porta San Tomaso presenta inoltre simili sistemi di fenditure con Porta Santa Croce, sempre in territorio padovano, oltre che richiamare nella copertura quella della Basilica di San Marco a Venezia. Non si esclude difatti l'intervento di marmorari provenienti proprio dal suolo veneziano, come ad esempio Pietro Lombardo. La porta, certamente la più ornata delle tre trevigiane, soddisfa il suo carattere rinascimentale richiamando lo schema degli archi trionfali romani. Essa, interamente rivestita da elementi decorativi in pietra d'Istria, presenta una pianta quadrata che origina un vano centrale a tre navate, con quattro pilastri principali ad alto basamento e due minori, che sostengono le volte a crociera. La facciata esterna rivolta verso nord è dunque scandita da queste sei colonne di ordine corinzio poggianti su una voluminosa base e terminanti con un'ampia trabeazione sopra cui uno sporgente cornicione presenta caratteri ornamentali. Al centro del corpo principale spicca il leone di san Marco, sotto al quale è riportato l'anno di realizzazione, il 1518, mediante la scritta latina MDXVIII. Tale simbolo della città di Venezia è stato aggiunto sulla facciata esterna della porta solo nel 1856, durante un suo restauro. Ai lati dell'ingresso principale si trovano due aperture per il passaggio dei pedoni, insieme ad un terzo portoncino situato nella facciata interna che permette l'accesso, attraverso una ripida scalinata in pietra, all'ampio sottotetto. A completamento dell'edificio vi è una copertura dalla complessa genesi strutturale, realizzata con grosse travature lignee a sostegno del rivestimento a quattro falde in lastre di piombo, disposte a schiena d'asino, sopra le quali è posta la grande statua in pietra d'Istria di San Paolo, celebrativa del committente. Numerose sono inoltre le iscrizioni, come ad esempio quelle nei due prospetti riportanti il nome della porta, da un lato (quello interno alla città) in latino, e dall'altro (quello affacciato sul lato esterno delle mura), come a "far notare il loro concetto di diversità culturale tra la gente fuori città, di campagna, e la gente di città". Infine, si possono notare in entrambe le facciate gli stemmi appartenenti alle entità più significative. Nella facciata settentrionali essi sono posti tra una colonna e l'altra per un totale di quattro, corrispondenti rispettivamente al podestà Paolo Nani, alla città di Treviso, al doge Leonardo Loredan e di nuovo a Nani, posizionati sopra quelli di dimensioni inferiori del doge Alvise II Mocenigo e del podestà Antonio Manin, nella fascia sottostante. Nell'altra facciata di nuovo compaiono gli stessi stemmi, ai quali si aggiunge al centro quello dedicato a Giovanni Grimani. Sulla parete occidentale del varco di ingresso è realizzato un altorilievo raffigurante la Vergine con il bambino in trono, affiancata da San Liberale, Santa Maria Maddalena e una bambina a destra dell'osservatore, e Beato Enrico, San Giorgio e "un vecchio gentiluomo inginocchiato" a sinistra, con l'intero gruppo poggiante su tre mensole. Vi sarebbe inoltre un'altra ipotesi circa il riconoscimento dei personaggi, che confermerebbe la committenza della porta da parte di Paolo Nani, riscontrata nella presenza nell'altorilievo della figura stessa del podestà e del figlio Agostino, in adorazione ai piedi della Vergine. A conferma di questa tesi si pone il disco con barra diagonale alla base della mensola centrale, simbolo del podestà più volte riportato in punti differenti della porta. Ferdy Hermes Barbon, Le mura, le porte di Treviso e Fra' Giocondo, in Atti e Memorie dell'Ateneo di Treviso, vol. 31, n. 22, Treviso, Ateneo di Treviso, ottobre 2015, ISBN 978-88-98374-04-5 Achille Costi, Porta Santi Quaranta e Porta San Tomaso: storia, valore e futuro, in Le mura di Treviso. Da Fra' Giocondo ad oggi, un viaggio lungo 500 anni, Simone Piaser, Umberto Zandigiacomi (a cura di), collana Urbis, Treviso, Chartesia, 2017, ISBN 978-88-99786-08-3 Marley D'Amore, Porta San Tomaso a Treviso: ruolo e funzione all'interno del sistema fortificato cinquecentesco, in Fragmenta, vol. 3, Treviso, Antiga Edizioni, dicembre 2023, ISBN 978-88-8435-432-7 Stefano Zaggia, La costruzione delle porte urbiche delle città venete durante il dogato Loredan: tra logica militare, magnificenza e memoria, in Come la Marea. Successi e sconfitte durante il dogado di Leonardo Loredan (1501-1521), Donatella Calabi, Giuseppe Gullino, Gherardo Ortalli (a cura di), Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, febbraio 2023, ISBN 978-88-92990-16-6 Guerra della Lega di Cambrai Porta Altinia Porta cittadina Porta Santi Quaranta Treviso Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta San Tommaso Porta San Tomaso, su comune.treviso.it, Comune di Treviso. URL consultato il 29 maggio 2012. Porta San Tomaso-Treviso, su trevisoinfo.it.

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Porta San Tomaso, Treviso San Zeno

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Chiesa di Santa Caterina (Treviso)
Chiesa di Santa Caterina (Treviso)

La chiesa di Santa Caterina a Treviso, oggi sconsacrata, si trova nella via omonima, di fianco all'ex convento di Santa Maria; insieme ad esso fa parte del complesso di Santa Caterina, una delle sedi dei Musei civici di Treviso. Nel luogo oggi occupato dalla chiesa e dal convento sorgeva in origine il palazzo dei da Camino, signori di Treviso dal 1283. Nel 1306, alla morte del capostipite, il "buon Gherardo", gli succedettero i figli Rizzardo, assassinato nel 1312 proprio sotto la loggia del palazzo, e Guecellone, costretto alla fuga durante una rivolta popolare nello stesso anno. Il palazzo, che aveva ospitato anche Dante Alighieri, venne in tale occasione gravemente danneggiato e rimase in stato di abbandono, assieme agli splendidi giardini prospicienti le mura della città, per più di trent'anni. Nel 1346, durante la podesteria di Andrea Cornaro, i servi di Maria, ultimi tra i grandi ordini mendicanti dell'Italia medievale ad insediarsi a Treviso, ottennero l'autorizzazione a costruire in quest'area il loro convento e la chiesa dedicata a santa Caterina d'Alessandria. La costruzione dell'edificio, iniziata dalla zona absidale e, pare, inglobante parte dell'antico palazzo, fu interrotta bruscamente nel 1348, probabilmente a causa della terribile epidemia di peste nera di quell'anno. La fabbrica era giunta a circa metà della navata, venne dunque provvisoriamente costruita una facciata in assi di legno. Di questo stato resta traccia nell'affresco parietale raffigurante Santa Caterina in atto di sostenere il modellino della città di Treviso scoperto sulla parete meridionale dell'edificio. Dal 1469, fino alla partenza dei Serviti, ogni anno il 20 gennaio si teneva una solenne processione in onore di san Sebastiano per la liberazione dalla peste. Da una annotazione nelle Memorie di Marco Pulieri, sembra che l'ultima volta che tale celebrazione sia stata svolta con una modesta cerimonia all'interno del Duomo fu il 22 aprile 1822. La chiesa fu ultimata solo tra la fine del XIV secolo e gli inizi del secolo successivo. Ad iniziativa di privati furono aggiunte alcune cappelle. Oggi resta soltanto quella detta "degli Innocenti", edificata per volontà del giurista di Conegliano Alberto della Motta, qui sepolto nel 1406, che nel proprio testamento provvide anche agli arredi liturgici, alla pala d'altare e alla decorazione pittorica (facere dipingi dictam cappellam). L'edificio, in particolare la zona absidale, fu danneggiato durante l'estate del 1508 nel corso degli scontri fra veneziani e alleati della lega di Cambrai. Seguendo le direttive del Concilio di Trento, i Serviti provvidero nel 1590 a ridecorare la chiesa in conformità all'austerità richiesta dalla Controriforma: furono picchiettate e ricoperte con intonaco le immagini medievali, eliminati molti monumenti e realizzati finti altari architettonici ad affresco integrati con pale dipinte su tela. Soppresso il convento nel 1772 e cessata ogni destinazione religiosa degli spazi nel 1806, gli edifici del complesso conventuale, compresa la chiesa, divennero proprietà demaniale e furono utilizzati come caserma e magazzini militari. La decorazione cinquecentesca fu a sua volta ricoperta dall'intonaco ed anche il patrimonio artistico e gli arredi furono gravemente danneggiati e comunque dispersi. Specialmente sotto il successivo governo austriaco la chiesa fu pesantemente trasformata per essere più funzionale alla nuova destinazione (furono qui nel tempo depositati perfino treni militari): fu demolita la zona absidale e sostituita con una nuova facciata neoclassica rivolta alla retrostante piazza. Sul fastigio, fino al 1945 si scorgevano le tracce dell'aquila imperiale e la scritta I.R. Deposito dei treni militari. L'interno fu suddiviso in tre livelli mediante soppalcature in legno le cui travi forarono muri ed affreschi. Nel 1883 fu aperta sul lato settentrionale dell'edificio via dei Caminesi, per far spazio alla quale furono abbattute le due cappelle laterali delle quali, all'interno, si scorgono ancora le arcate. Il complesso mantenne la destinazione militare anche nel periodo post-unitario, fino al 1943. Fu l'intervento del restauratore Mario Botter, successivo ai gravi danni subiti durante i bombardamenti del 1944 e del 1945, riportando alla luce il dimenticato tesoro pittorico ("un'eccezionale antologia della pittura dell'entroterra veneto dalla metà del Trecento fino ai primi decenni del Quattrocento, culminante con gli affreschi attribuiti a Gentile da Fabriano o al suo ambito"), a favorire la decisione di recuperare l'intero complesso a funzioni culturali. Nella chiesa, restaurata secondo il progetto dell'architetto Toni Follina, sono oggi conservate le Storie di sant'Orsola di Tomaso da Modena. L'edificio, in laterizio in parte intonacato, presenta una pianta molto semplice, ad un'unica navata ad aula senza transetto. La facciata, non esattamente perpendicolare rispetto al resto dell'edificio, e il lato settentrionale si affacciano su via Santa Caterina; la zona absidale, delimitata verso l'esterno da una recinzione in ferro, su piazza Matteotti (già del Grano); il lato meridionale costituisce invece la parete di fondo di un lato del chiostro maggiore del convento. La semplice facciata a capanna in laterizio intonacato, suddivisa in tre ampi campi da quattro lesene, è movimentata da umano rosone e da due strette finestre ad arco acuto. A destra si trova la facciata dalla cappella degli Innocenti. Nella superficie in laterizio a vista si aprono un portale con un arco a tutto sesto circolare, inscritto in una più ampia arcata cieca a sesto mezzo acuto, un'elegante bifora gotica e due piccole finestre cieche di forma quadrata. Un elaborato cornicione, sorretto da archetti pensili, corre per tutta la lunghezza della facciata, girando poi attorno alla cappella I lati dell'edificio sono caratterizzati da campi individuati da lesene e raccordati in alto da serie di tre archetti pensili. Nella parete verso il chiostro si aprono quattro finestre, del tutto simili a quelle in facciata; nella parete settentrionale ve ne sono invece soltanto due. Le tre absidi, due laterali, ricostruite in stile gotico nel secondo dopoguerra, ed una centrale, più ampia, per la quale si decise di mantenere il muro eretto dall'amministrazione asburgica, hanno rispettivamente forma poligonale e rettangolare. Due strette finestre gotiche danno luce a ciascuna delle absidi laterali; in quella centrale, sulla quale è ancora visibile il fornice a sesto acuto dell'arco di trionfo, si apre invece un portale ad arco tricentrico. L'interno ad aula, funzionale alle prediche che qui tenevano i serviti, risente del cambiamento di funzione occorso durante il XIX ed il XX secolo. Delle cappelle laterali rimane traccia nei due grandi archi ciechi a sesto acuto, ancora visibili sul lato settentrionale. Sulla stessa parete si aprono anche due archi a tutto tondo e a sesto tricentrico, di dimensioni molto inferiori. Sulla parete opposta si aprono invece tre porte, che danno acceso al chiostro grande, e un'arcata a sesto leggermente acuto, che conduce alla cappella degli Innocenti. Quest'ultima, di dimensioni abbastanza rilevanti in proporzione all'aula, ha una pianta irregolare: i quattro lati formano, infatti, angoli differenti per assecondare i diversi assi dell'aula e della facciata; l'ambiente è suddiviso in due campate da un arco a sesto acuto. La parete di fondo è caratterizzata da tre alte arcate, che danno accesso alle absidi. La zona dell'antico presbiterio è leggermente sopraelevata. La copertura è a capriate lignee nell'aula; due volte a crociera chiudono invece la cappella degli Innocenti. Tranne che per una Presentazione al tempio di Jacopo Palma il Giovane, oggi conservata nella sagrestia del Duomo di Castelfranco Veneto, non c'è traccia delle opere asportate. La maggior parte degli affreschi superstiti, eseguiti tra la seconda metà del XIV e i primi decenni del XV secolo, si concentra sulla parete destra. Benché realizzati senza un piano preordinato (i vari riquadri venivano eseguiti a seguito di elargizioni di cittadini benefattori, o per offerte ex-voto, o per la richiesta di sepolture), i lavori si possono dividere in due gruppi omogenei: il primo gruppo, nella metà parete verso le absidi, risale alla seconda metà del Trecento; il secondo gruppo, nella metà parete verso la facciata anteriore, all'inizio del Quattrocento. Tale raggruppamento rispecchia le due fasi di costruzione della chiesa, caratterizzata da una lunga interruzione fra il 1348 e la fine del XIV secolo. Questi affreschi, coperti nel 1590 da uno strato di intonaco, riemersero nel 1944 e furono restaurati fra il 1997 e il 2001 con fondi privati e pubblici. Il primo gruppo di affreschi, in un primo tempo attribuito a Tomaso da Modena, comprende: Annunciazione; Profeti e Trinità Santa Margherita martire San Michele Arcangelo, tre Santi e committente Madonna con Bambino e S. Caterina d'Alessandria Santo vescovo (Biagio?) Santa Caterina d'Alessandria intercede per Treviso Corona d'angeli e committente (da Madonna dell'Umiltà) Il secondo gruppo comprende: Madonna con Bambino, S. Giovanni Battista e Santo pellegrino Miracolo di S. Eligio (il santo maniscalco, tentato dal demonio in abiti femminili) San Girolamo dottore della Chiesa Tra le raffigurazioni di epoca trecentesca, particolarmente interessante Santa Caterina d'Alessandria intercede per la città di Treviso. Nel raffigurare la santa che sostiene con la mano il modellino della città, il pittore ha descritto fedelmente le mura, la torre civica, il Duomo sormontato dal vessillo di San Marco, nonché la chiesa stessa di Santa Caterina. A destra, in un riquadro oggi molto deteriorato, era raffigurata una Madonna dell'Umiltà, la cui protezione è invocata dai cittadini, affacciatisi dalle mura, e dalla santa, che le rivolge una preghiera dipinta in caratteri gotici. Il gruppo di affreschi quattrocenteschi rappresenta una delle più alte testimonianze del tardo gotico veneto: di particolare finezza è la Madonna col Bambino e San Giovanni Battista, inserita in una ricca architettura, attribuita a Gentile da Fabriano o ad uno dei suoi allievi; a Pisanello è attribuita, invece, la scena della Tentazione di sant'Eligio. Sulla parete sinistra e sulla controfacciata si trovano invece le campiture meglio conservate della decorazione cinquecentesca, a finte architetture con colonne tortili. Sulle volte a crociera della cappella quattrocentesca sono raffigurati i quattro Dottori della Chiesa e i Simboli degli Evangelisti. Sulle pareti, riquadri con Storie di Maria e dell'infanzia di Gesù, culminanti sulla parete di fondo con la grande, drammatica Crocifissione. Sotto, San Sebastiano. Le pitture, databili intorno al 1430, sono attribuite a due diversi maestri, ciascuno con proprio collaboratore. L'artista maggiore - autore, tra le altre scene, della Crocifissione e della strage degli Innocenti - viene convenzionalmente denominato, appunto, Maestro degli Innocenti. Nel 1998, nell'aula è stato posizionato un organo in stile rinascimentale italiano, costruito dalla ditta Francesco Zanin, di Codroipo. Inizialmente era collocato in una tribuna in posizione sopraelevata davanti all'abside; dopo la ricollocazione delle restaurate Storie di Sant'Orsola, è stato addossato alla parete settentrionale della navata. Il prospetto è suddiviso in cinque (gruppi di 7, 9, 5, 9, 7 canne) con due organetti morti in alto, in corrispondenza del secondo e quarto gruppo. Le canne di mostra, quelle a partire dalla nota Fa1 del registro di principale, sono in stagno ed allineate, con bocche a mitria. La consolle ha una tastiera di 60 note (Do1-La5, con in più La♭1, La♭2 e La♭3, e Re#2, Re#3 e Re#4), ed ha la prima ottava scavezza. I tasti delle note naturali sono ricoperti in legno di bosso con frontalini a chiocciola, quelli dei diesis sono in ebano. La pedaliera, a leggio, è in noce, ed ha 20 note (Do1-Si2). L'organo è alimentato da tre mantici a cuneo, azionabili manualmente e con corde. Giovanni Netto, Guida di Treviso, Trieste, Edizioni LINT, 1988. Marco Pulieri, Miscellanea di memorie trivigiane dal 1813 al 1825: opera inedita di Marco Pulieri con notizie sull'autore, a cura di Angelo Marchesan, Treviso, Tipografia coop. trivigiana, 1911. Musei civici di Treviso Convento di Santa Maria (Treviso) Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla ex chiesa di Santa Caterina museicivicitreviso.it.