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Stazione di Solagna

Pagine con mappeSolagnaStazioni ferroviarie della provincia di Vicenza
Solagna staz ferr locomotiva 740
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La stazione di Solagna è una fermata ferroviaria a servizio del comune di Solagna sulla linea Trento-Venezia. La gestione degli impianti è affidata a Rete Ferroviaria Italiana controllata del Gruppo Ferrovie dello Stato.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Solagna (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Solagna
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Solagna staz ferr locomotiva 740
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Luoghi vicini

Chiesa di Santa Giustina (Solagna)
Chiesa di Santa Giustina (Solagna)

La chiesa arcipretale di Santa Giustina vergine e martire è il principale luogo di culto di Solagna, in provincia di Vicenza e diocesi di Padova; fa parte del vicariato di Valstagna-Fonzaso. Unica parrocchiale del comune, nella sua giurisdizione ricadono anche l'eremo di San Giorgio e gli oratori della Regina della Pace (Camposolagna) e San Giovanni Battista (Colli Alti). La prima citazione (beatissime Iustine virginis ecclesiam non longe a flumine Brente valle nuncupate Solane) è contenuta nell'atto del 917 con cui l'imperatore Berengario I dava in feudo il canale del Brenta al vescovo di Padova Sibicone, sottraendolo alla diocesi di Vicenza. La situazione fu confermata nel 1155 da papa Adriano IV al vescovo Giovanni Cacio. Questi documenti testimoniano come Santa Giustina rappresentasse allora il principale luogo di culto del canale, con giurisdizione sulla sinistra del fiume da Cismon a Cassola (e forse, almeno in un primo tempo, anche sulla destra). Nel 1189 i capifamiglia del paese si riunirono presso la chiesa e giurarono fedeltà a Vicenza. Trascorsa la parentesi ezzeliniana, Solagna tornò alla città berica, pur rimanendo legata alla diocesi di Padova dal punto di vista ecclesiastico. Per quanto riguarda la storia architettonica, dalla visita effettuata dal vescovo Pietro Barozzi nel 1488 sappiamo che la chiesa era costituita da tre navate, con quattro cappelle e sei altari. Questa struttura si conservò nel secolo seguente, quando furono citati, in aggiunta, il campanile con due campane e un piccolo ospizio gestito dai parrocchiani. Il campanile fu ricostruito tra il 1760 e il 1776 in pietra viva, sotto la supervisione dell'ingegnere Bartolomeo Ferracina che ne progettò anche l'orologio. Nel 1816 il vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio annotò la costruzione ex novo del presbiterio. L'edificio fu completamente rifatto tra il 1854 e il 1862, in stile neoclassico, e fu consacrato il 28 febbraio 1886. Dopo la rotta di Caporetto del 1917 e l'evacuazione del paese, la chiesa fu chiusa e riaperta in occasione della Pasqua del 1919. L'ultimo importante restauro è degli anni 1960. Sull'altare della Vergine è esposta la Madonna dell'Aiuto, un olio su tavola di noce realizzata da un anonimo di scuola veneta nella prima metà del Cinquecento. Potrebbe trattarsi della più antica immagine raffigurante Maria Ausiliatrice, titolo che si vorrebbe ufficializzato da papa Pio V nel 1571. È da sempre oggetto di grande venerazione da parte dei solagnesi, che portarono con loro durante il profugato a Codogno nel corso della grande guerra. Questo episodio è ricordato da un altorilievo in bronzo posto alla base dell'altare. Nel presbiterio è collocato un dipinto di Francesco Bassano il Vecchio, datato 1520 e raffigurante Santa Giustina tra i santi Michele e Giorgio. Si ricorda poi un ciclo di affreschi realizzati intorno al 1860 da Giuseppe Ghedina: sul soffitto tre episodi della vita di santa Giustina (Condanna, Martirio ed Esaltazione), nel presbiterio la Cena in Emmaus e il Risveglio di Elia nel deserto. Va citata, infine, una Sant'Anna lignea di Andrea Brustolon (XVIII secolo). All'esterno, sulla parete orientale della sacrestia, ha trovato posto una lastra tombale raffigurante un religioso con i paramenti tipici degli arcipreti. Come riporta una lapide sottostante, essa fu qui collocata nel 1740 dopo essere a lungo servita per la sepoltura dei sacerdoti. Priva di fondamento la tradizione che la identifica con la tomba di Ezzelino II il Monaco, che sarebbe stata trasferita a Solagna dal monastero di Campese: Ezzelino morì nella prima metà del XIII secolo, mentre il manufatto fu realizzato attorno all'anno 1400. Sempre all'esterno, sulla parete sudest della chiesa, è stata murata una lapide in ricordo di Bartolomeo Ferracina, con epigrafe composta da Natale Dalle Laste. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Giustina Chiesa di Santa Giustina, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Campese
Campese

Campese è una contrada del comune italiano di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza. Costituisce, inoltre, uno dei suoi ventidue quartieri. Sorge a nord del capoluogo, sulla riva destra del fiume Brenta (di fronte a Pove del Grappa e a Solagna) e all'imboccatura del Canale di Brenta. L'abate Agostino Dal Pozzo, richiamandosi ai «documenti di que' tempi [1100]», ritiene che il toponimo derivi dal cimbro kan wisen, ovvero "ai prati". Ipotesi più recenti lo avvicinano semplicemente al latino campus, riferimento alla conformazione del luogo. In numerosi documenti è nota anche come Campo Syon, in ricordo di un viaggio in Terrasanta intrapreso dall'abate Ponzio di Cluny, fondatore del monastero di Santa Croce. Campese fu infatti sede di un'importante comunità benedettina, fondata nel 1124, dipendente dall'abbazia di Polirone a partire dal 1127 e soppressa nel 1810 in epoca napoleonica. L'attuale parrocchia è oggi, con Rubbio, l'unica del comune a dipendere dalla diocesi di Padova. Anche dal punto di vista amministrativo Campese ebbe storia autonoma rispetto a Bassano in quanto parte della federazione dei Sette Comuni come "contrada unita" e godette pertanto dei medesimi privilegi concessi agli abitanti dell'altopiano di Asiago. Tra questi, il permesso di coltivare il tabacco (l'ecotipo "nostrano del Brenta" sviluppato dai monaci tra il XVI e XVII secolo) che fu alla base dell'economia locale sino agli anni cinquanta del Novecento. Sino al 1878, inoltre, fu frazione di Campolongo sul Brenta. Il complesso sorge nella parte meridionale del territorio campesano tra la costa del monte, dove tra i prati scorre l'acqua della Rea, e il corso della Brenta. Il Monastero fu fondato da Ponzio di Melgueil, ex abate di Cluny, nel 1124. Il luogo prescelto è vicino ad uno degli itinerari che attraversando le Alpi collegano la pianura veneta con il nord e i territori imperiali. È in un punto chiave per il controllo dell'accesso alla sponda destra del Canale di Brenta, vi avevano proprietà e diritti il Vescovo di Padova, l'abbazia di S. Floriano, i Da Romano e altri signori della loro cerchia. Molto probabilmente il monastero insiste su edifici e installazioni precedenti. Ponzio costruì anche un ponte sulla Brenta. Un tempo un muro di cinta circondava gli edifici con i giardini e i broli. Lungo il corso della Rea, sorgevano mulini ed officine di cui rimangono notevoli testimonianze. Nel monastero gli edifici sono articolati attorno al quadrato del chiostro: a Nord sorge la chiesa monastica; ad Est ciò che rimane, dopo notevoli ristrutturazioni, della sala capitolare con i soprastanti dormitori e una soffitta; a Sud le cucine ancora intatte nella ristrutturazione tardo quattrocentesca (si spera non subiscano inopportuni rimaneggiamenti), un piccolo refettorio e i piani superiori ristrutturati ad abitazione; ad Ovest le cantine, occupate ora in parte dall'edificio del Battistero. Dell'ala rustica rimane un piccolo edificio ad Ovest staccato dal resto del complesso. L'angolo Nord-Ovest del chiostro è occupato dall'edificio della “sacrestia nuova” costruita nel 1894. L'attuale campanile fu costruito tra il 1904 e il 1907. Dell'acquedotto che alimentava una piccola peschiera e irrigava i coltivi, rimane la presa sul canale del mulino e la condotta sotterranea. Ciò che rimane dell'antico complesso monastico si presenta nell'aspetto assunto dopo la ristrutturazione operata tra la fine del secolo XV e i primi anni del secolo XVI, quella degli anni ottanta del secolo XIX e altri interventi significativi che risalgono alla metà del secolo XX. Delle antiche vie di accesso e comunicazione rimane, per ora, quella che collegava il guado sulla Brenta con la Rea e la strada che correva lungo il margine inferiore del monte. Il muro di cinta si estendeva attorno ai giardini, agli orti, ai coltivi da vanga e agli edifici tra gli opifici ex Finco (un tempo del Monastero), la Brenta, il confine Nord del campo sportivo e il viale che porta alla chiesa; ora ne rimane un tratto, trascurato, lungo la provinciale. Il brolo, dal 1960 circa in poi vide profonde e devastanti trasformazioni: dapprima i campi sportivi, poi la distruzione dei giardini e dell'acquedotto antico e a questo si aggiunse uno smembramento amministrativo in seguito al quale rimase alle dirette dipendenze della Chiesa di Santa Croce di Campese solo l'area degli impianti sportivi, una piccola parte del distrutto giardino e l'antica area del chiostro rustico. Questo smembramento ha avuto effetti ancora peggiori della distruzione dei giardini: è stata sconvolta l'unità storico architettonica dell'intero complesso e messa in pericolo la sua integrità generale. Il grande brolo recintato è stato, fin dal 1124, parte integrante della vita del Monastero; il suo smembramento mette in pericolo ciò che resta di questo storico complesso. 18 giugno 1124. Fondazione dell'abbazia di Santa Croce di Campese da parte di Ponzio di Melgueil ex abbate di Cluny. 1124, 22 giugno: donazione di Tiso presenti Alberico ed Ezzelino da Romano. 1127, 3 luglio Donazione al Monastero di San Benedetto Po del Monastero di Santa Croce di Campese. 1132, 25 giugno. Decreto di Innocenzo II all'Abbate di S. Benedetto Po. Accoglie Santa Croce “ in protectione Beati Petri”- 1202, 20 settembre. Ezzelino il Monaco investe il Priore di S. Croce di Campese Vitaclino di molti suoi beni in Angarano e in Foza; il contratto avviene nel prato della chiesa di S. Giorgio alle acque di Angarano. 1221, 22 novembre. Donazione della chiesa di Santo Spirito di Oliero da parte di Ezzelino il monaco. 1259 Sconfitta e morte di Ezzelino III. Fine della signoria degli Ezzelini. 1277. “Battesimo trasportato da S. Martino in Santa Croce”. 1488 Ristrutturazione della chiesa e del monastero. Fine del Sec. XVIII. Il Monastero non è più abitato dai monaci. Metà del Sec. XIX. Crolli, ristrutturazioni edilizie e abbattimenti. Seconda metà del sec. XX. Restauro. Il Monastero fu per molti secoli il più importante centro religioso, culturale ed economico del Canale di Brenta. È “il celebre Monastero” di Ponzio di Melgueil, degli Ezzelini e di Teofilo Folengo. Secondo la tradizione qui ebbero sepoltura gli Ezzelini “tranne il primo e l'Ultimo” Fin dal 1800 è Monumento Nazionale. Sulle prime fasi di costruzione abbiamo indicazioni molto scarne: due documenti del 3 luglio 1127 e del 1128 parlano del monastero "ordinando" (G.B. Verci, C.E., n. 15.), cioè ancora in fase di costruzione o completamento. L'11 gennaio 1131 è detto "constitutum" (G.B. Verci, C.E., n. 18.). Il 18 luglio 1133 è detto "hedificatum" (G.B. Verci, C.E., n. 21.). Nel maggio del 1145 la donazione di Aimo del Margnano è siglata "in monasterium Sanctae Crucis" (G.B. Verci, C.E., n. 22.). Il 16 maggio 1173, nel processo tra il presbitero Giovanni di Solagna e il Priore di Campese un testimone dice: “fino a che quel monastero fu elevato e costruito dall'Abate Ponzio." (G.B. Verci, C.E., n. 34.) Possiamo quindi pensare che la costruzione sia durata in una prima fase dal 1124 fino al 1131 circa con una inevitabile interruzione all'epoca del giudizio e della morte di Ponzio. Nel Monastero, secondo la tradizione, avevano il loro sepolcro gli Ezzelini “...Memorie auguste/ cela quel tempio, alte ruine: A quello/ un peregrin crocifero diè nome/ reduce da Sionne; e quivi accolte/ degli avi di Ezzelin dormono l'ossa/ a cui di bruni solitari un coro/ lunga stagion mormorò la prece/ esequial. Cadute l'armi e spenta/ del tiranno la vita, in quelle tombe/ udissi un rude crepitar dell'ossa,/ un mugito profondo i cavi bronzi/ della torre mandar lugubri note.” (Versi dell'Abate Giuseppe Barbieri [1774 – 1852] ). Descrizioni della chiesa e del monastero non ne conosciamo fino al 12 ottobre del 1488, giorno della visita canonica del Vescovo Pietro Barozzi. Anche le fonti iconografiche sono molto avare: la più antica iconografia conosciuta è quella contenuta nel Liber Instrumentorum, signatum EE (Archivio Arcipretale Campese), all'anno 1688. Il verbale della visita vescovile del 1488 ci dà delle preziose notizie che ci permettono di risalire più in là nella storia architettonica della chiesa e di parte del monastero. “Quello stesso giorno il vescovo, traversata a guado la Brenta, visitò il monastero di Santa Croce di Campese [...] il luogo è ampio con molti e grandi edifici e (un tempo) vi abitavano molti monaci. La chiesa ha tre absidi (cubas) rivolte ad oriente e ne aveva altre due: una rivolta a mezzodì, l'altra a settentrione, di modo che l'edificio aveva in sé una certa qual forma di croce (ita ut quandam formam crucis cum se feret edificatio). Queste due absidi (cube) sono state demolite e le pareti, dove c'era l'ingresso alle absidi, sono state murate. [...] La navata è lunga e grande, ma aperta ai venti e i numerosi colombi che nidificano sul tetto coprono il pavimento di escrementi e piume. Ci sono tre altari nelle tre absidi, tutti consacrati; presso la chiesa c'è un oratorio (sacellum) con un altare consacrato, abbastanza ampio, pavimentato, dove i monaci celebrano l'ufficio divino. Vi è un giardino recintato da mura esteso più o meno per cinque jugeri, un orto, un altro giardino, cortili. Vi è poi un chiostro con il refettorio, la cella vinaria, il granaio, la cucina, poi la foresteria e il dormitorio..." La chiesa quindi aveva 5 absidi volte ad oriente, ciascuna con il suo altare consacrato, e davano alla chiesa “una certa qual forma di croce”; anticamente quindi aveva un transetto vero e proprio e all'epoca della visita canonica del Barozzi il cantiere di riparazione e trasformazione era ancora aperto. Altre informazioni sono emerse durante i lavori di restauro della navata quando furono levati gli strati di intonaco nella metà inferiore delle pareti e fu così possibile vedere la tessitura della muratura e lo stratificarsi dei vari interventi. Sulla parete est originariamente si aprivano tre grandi archi: al centro il grande arco trionfale e ai fianchi altri due poggianti rispettivamente sulle pareti laterali stesse e sui due pilastri centrali. I due grandi archi laterali erano l'ingresso rispettivamente alla parte Nord e Sud del transetto ora scomparso, di cui però rimangono delle tracce: a Nord presso la tomba di Teofilo Folengo è ancora visibile un resto di muratura che doveva appartenere al muro divisorio dell'abside Nord, a Sud invece è rimasta una testimonianza significativa nel grande arco, ora chiuso, che si vede nell'attuale vano scale dell'edificio Est. Questo arco poggia su due eleganti pilastri in pietra arenaria con lo zoccolo leggermente ed elegantemente sagomato, è quell'ingresso "ora chiuso" di cui parla il verbale e che introduceva all'abside Sud. Sulla parete Ovest, oltre al rosone e all'entrata principale, si aprivano due finestre delle stesse dimensioni di quelle della parete Sud. Anche la parete Sud era diversa; all'estremità di Sud-Est si apriva una porta (tuttora visibile) che metteva in comunicazione con la galleria orientale del chiostro; un'altra porta era aperta all'altra estremità della parete dove ora si trova la galleria che porta all'attuale battistero. Nella parte superiore della parete erano aperte solo tre finestre, in quanto le ultime due verso ovest non c'erano perché là vi era addossata la parte superiore dell'ala ovest del monastero. Sulla parete Nord non si apriva nessuna porta o finestra. Il prospetto della facciata era diverso dall'attuale. L'analisi delle misure e della geometria dell'edificio ci porta ad ulteriori considerazioni su come è stata progettata e costruita Santa Croce. Innanzi tutto Santa Croce è orientata, cioè costruita con le absidi verso oriente e la navata sulla linea equinoziale. Già questa è una particolarità in quanto l'orientamento delle precedenti suddivisioni agrarie e degli edifici preesistenti è invece mediamente declinante di circa 14 gradi verso Nord rispetto alla linea equinoziale. Questo ci fa supporre che la tracciatura della chiesa e del monastero sia avvenuta con fini particolari. Analizzando la pianta emergono rapporti geometrici suggestivi e interessanti. Lo schema generale che presiede alla disposizione degli edifici è semplice: un grande quadrato che vede al centro il chiostro con il pozzo dell'acqua e intorno al quale si sviluppano gli edifici monastici. A Nord la chiesa; sul lato orientale si trova la sala capitolare e la scala per raggiungere il soprastante dormitorio; a Sud sono situati il refettorio, le cucine, l'infermeria e, al piano superiore, locali di abitazione per il cellerario, il priore e l'abate; ad Ovest l'ingresso, i magazzini, la foresteria, gli alloggi per il personale del monastero. L'unità di misura usata è, con buona approssimazione, il piede di 0,325 m che corrisponde al "piede gallico". È da notare che non è usato né il "piede cluniacense" introdotto da S. Ugo pari al "piede romano" di 0,295 m, né il "piede carolingio" di 0,340 m che ritroviamo in altri edifici del territorio. Con questa unità di misura la larghezza della chiesa misurata dall'esterno è di 42 piedi e la lunghezza presunta di 120 piedi, cioè 39 metri. L'altezza della chiesa all'imposta delle capriate è di 26 piedi, il rapporto tra la larghezza e l'altezza dei muri è quindi 42/26 che dà 1,61: cioè il "numero d'oro". L'altezza al culmine del tetto è di 37 piedi e l'attuale altezza del fastigio della facciata è di 42 piedi: questa quindi è inscritta in un quadrato che è il quadrato su cui è tracciato e costruito l'intero edificio. Se disegniamo l'analemma di Vitruvio per la latitudine di Santa Croce (45 gradi e 48 primi) e consideriamo le finestre come fori gnomonici e sovrapponiamo questo analemma alla sezione dell'alzato, osserviamo che la macchia di luce proiettata dalle finestre sul pavimento all'epoca degli equinozi di primavera e di autunno ha dimensioni uguali a 2/12 della larghezza della chiesa (2/12 sono anche la larghezza della porta principale e del rosone) e le macchie di luce si spostano in linea retta durante il corso del giorno da occidente ad oriente fino a raggiungere l'arcone trionfale. Invece nei giorni del solstizio invernale, a mezzogiorno, la macchia di luce proiettata dalle finestre segna l'intersezione tra il pavimento e il punto dove s'innalza il muro Nord. La "disposizione" quindi di santa Croce e il modo con cui è progettata risponde non solo ad un'esigenza estetica, ma anche ad un'esigenza simbolica: l'edificio richiama ad una realtà, ad un mondo che è superiore all'edificio stesso. Queste considerazioni sul ritmo e le proporzioni geometriche ci permettono di capire la forma attuale e, con un certo grado di attendibilità, di immaginare quale doveva essere la forma originale. Il sole mentre gira nel suo corso annuale stabilisce una croce: agli equinozi la luce delle finestre percorre un corridoio di luce dall'ampiezza di 2/12 rispetto alla larghezza dell'edificio, partendo dalla porta, di cui così stabilisce la larghezza, arrivando all'abside all'ora nona. Al solstizio invernale illumina, a mezzodì, la parete nord e segna l'intersezione tra questa e il pavimento. Anche i due "oculi" che si trovano a fianco dell'arcone trionfale della parete Est hanno una loro funzione geometrico - astronomica: al sorgere del sole dei due solstizi proiettano la loro luce sulla metà della parete Nord e Sud. In realtà questo avviene solo al solstizio invernale perché solo in quella posizione l'orizzonte è libero dalle montagne e permette il verificarsi del fenomeno, quindi è il solstizio invernale a dare le dimensioni del braccio orizzontale della croce. Il solstizio invernale rappresenta il punto più basso raggiunto dal sole, ma è anche l'inizio del suo cammino ascendente e, in realtà, il punto più alto della proiezione della luce sulla parete nord; in questa occasione la luce del sole stabilisce anche una dimensione verticale che costituisce il quinto asse rispetto agli altri quattro della croce. Ciò che succede al solstizio invernale è quindi unico rispetto alle altre date significative e costituisce un inizio, dando le misure di due diverse direzioni: quella meridiana e quella verticale. In pratica la navata di Santa Croce di Campese è uno strumento astronomico che permette di osservare il corso del sole nel suo circolo annuale, avviene cioè che: "stat crux dum volvitur orbis", ovvero sta (si forma) la croce mentre ruota il mondo! Una descrizione grafica di come si può supporre fosse l'edificio originale e delle parti, ancora esistenti, attribuibili all'impianto originario. Planimetria tra il 1124 e il 1488 (da inserire) Il monastero fu fondato da Ponzio di Melgueil, settimo abate di Cluny, nel 1124. Nel 1204 Ezzelino il Monaco risolse una lite tra i frati del convento e la comunità di Angarano (località vicino a Bassano del Grappa) e dai documenti si evince che era prestigioso, ricco di possedimenti, tanto che la famiglia degli Ezzelini aveva costruito lì il proprio sepolcro di famiglia. Il 3 novembre 1191, Cunizza II degli Ezzelini, figlia di Ecelino I o Ezzelino I il “Balbo”, vedova di Tisolino della famiglia dei Camposampiero (Padova), fece testamento ad Angarano a favore del monastero. Campese è dunque una delle località coinvolte nelle vicende che, tra l'XI secolo e il XIII secolo, vide come protagonista la potente famiglia degli Ezzelini. La località è citata nel computo delle proprietà della casata, stilato dopo la sua sconfitta avvenuta nel 1260. L'organizzazione conventuale fu soppressa dalla Repubblica di Venezia nel 1786. (1) da Giovanbattista Verci, storia degli Ecelini, Bassano 1779 - Genealogia in “Catalogo Ezzelini, Signori della marca nel cuore dell'Impero di Federico II – a cura di Carlo Bertelli e Giovanni Marcadella- Comune di Bassano del Grappa – 2001” (2) Giorgio Pegoraro, nel “Catalogo” , voce 1. (3) Gian Paolo Bustreo, rielaborazione da una cartina presente nel “Catalogo”, voce 1 (4) www.sardipex.com (5)(8) Franco Scarmoncin, nel "Catalogo", voce 1. (6) Alessandra Schiavon, nel "Catalogo", voce 1 (7) Reinhard Hartel, nel "Catalogo", voce 1 (9) Angelo Chemin, nel "Catalogo", voce 1 (10) Giovanni Marcadella, nel "Catalogo", voce 1 (11) Angelo Chemin - Chiesa e monastero dell'invenzione della santa Croce di Campese - edito 2006. Agostino Dal Pozzo. Memorie Istoriche dei Sette Comuni vicentini, Istituto di Cultura Cimbra, Roana, 2007 Stazione di Pove del Grappa-Campese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Campese

Eremo di San Giorgio (Solagna)
Eremo di San Giorgio (Solagna)

L'eremo di San Giorgio è un antico luogo di culto di Solagna, in provincia di Vicenza. Si trova a 460 m s.l.m. sul colle di San Giorgio, a nord del paese, lungo le creste che dalla sponda sinistra del canale di Brenta risalgono sino al margine del massiccio del Grappa (Colli Alti). È raggiungibile mediante il segnavia 44. La zona di San Giorgio fu frequentata sin dai tempi antichi, sicuramente dall'epoca romana imperiale. Sul declivio orientale del colle si trovano ancora i resti di una sepoltura, che all'inizio del Novecento fu descritta da Plinio Fraccaro come una tomba "preistorica". Studi più recenti collocano il manufatto in epoca precristiana (III-IV secolo) e non si esclude che nella roccia dove ora sorge l'eremo si trovassero altre sepolture. Un sepolcreto coevo si trova ai piedi del colle, presso contrà Maretini. Il sito presenta quindi numerose analogie con quelli del monte Bastia (al confine tra Pove del Grappa e Solagna), del Pian Castello (San Nazario) e di Praventore (tra Merlo e Carpanè). Tutti si caratterizzano per la presenza di un colle che domina il canale da est; ai suoi piedi sorge un insediamento associato a una necropoli e sulla cima un castelliere. A San Giorgio, tuttavia, non sono stati individuati i resti di una fortificazione. Secondo la tradizione, la chiesa fu fondata nel 1004 da Enrico II del Sacro Romano Impero, in occasione della sua discesa in Italia tramite il canale di Brenta. Misurando le dimensioni dell'edificio si è notato che l'unità di misura impiegata è il piede carolingio (34 cm), il che collocherebbe la costruzione in epoca longobarda-franca. Le prime menzioni scritte sono però più tarde: il culto per San Giorgio è attestato a Solagna dalla fine del XV secolo, mentre l'oratorio è citato specificamente nelle visite pastorali della seconda metà del XVI secolo. Da queste sappiamo che esso era un edificio estremamente semplice, sostanzialmente un'aula priva di pavimento e finestre e con un'unica porta rivolta a ovest. All'interno si trovava un solo altare con l'immagine di san Giorgio, mentre un altro altare si trovava sotto il portico esterno e qui, il 24 aprile (festa del titolare secondo il calendario ambrosiano; fu spostata il 23 aprile solo nel 1725), si celebrava una messa. Durante la festa venivano distribuiti al popolo pane e vino, usanza che fu vietata nel 1587 dal delegato vescovile Nicolò Galerio. Le relazioni cinquecentesche insistevano sulla necessità di restauri, ma essi vennero effettuati solo nel corso del Seicento. Da allora e fino alla visita del 1832 compresa l'edificio si presentò sempre come "povero, ma in ordine". Dal 1634 al 1763 è citata la presenza, non costante, di uno o due eremiti, dimoranti in celle costruite accanto alla chiesa. Non si sa se in precedenza San Giorgio fosse già frequentato come luogo di eremitaggio, di certo non era un caso unico nella zona: si ricordano San Bovo sopra Angarano, San Francesco presso Foza, San Bortolo a Pove e San Vito a Bassano. Nel corso dell'Ottocento l'interesse per l'eremo venne meno e iniziò un periodo di rapida decadenza. Nel 1888 il vescovo Giuseppe Callegari constatava come esso fosse in cattivo stato e alla fine dello stesso secolo vi si insediò una famiglia su concessione del comune di Solagna, a patto che si occupasse della custodia della chiesa. I primi importanti lavori di restauro avvennero nel 1922. Nel 1925 fu ricostruito il campanile. Altri interventi risalgono agli anni 1970 su iniziativa del "Gruppo Amici di S. Giorgio". Il complesso è costituito dall'eremo e dalla chiesa, addossati a uno sperone roccioso sul quale è stato costruito il campanile. La chiesa, con la facciata rivolta a sudovest, presenta una pianta "a cuneo" tipica dell'epoca longobarda. All'interno è conservata una piccola statua di san Gottardo (citata nella visita del 1745) e un altorilievo in marmo dell'artista locale Kobe Todesco (1984), che riproduce una pala di Angelo Turri (1925) trafugata nel 1978. Dello stesso autore è la Via Crucis (2000). Un crocifisso ligneo risalente al XVII secolo è ora collocato nella parrocchiale di Santa Giustina. Ricerche eseguite nel 1999 hanno evidenziato come sotto l'intonaco attuale erano presenti delle decorazioni colorate. Contiguo al retro della chiesa è l'eremo. Questo ha in parte inglobato la roccia che, all'interno, è stata scalpellata per pareggiarla al pavimento. Una parte è invece stata lasciata intatta e su questa è stata scavata coppella da collegare forse alla vicina tomba precristiana. Quest'ultima si presenta come un sarcofago scavato nella pietra e privo del coperchio (ma sul lato sinistro resta il solco dove esso poggiava) con una coppella scavata sul fondo. La presenza di un origliere dove era poggiata la testa fa intuire che la salma era orientata sud-nord, rivolta alle Alpi. Nel 1872, con l'istituzione del terzo ordine francescano a Solagna, si aggiunse anche la venerazione per san Francesco. Risalirebbe a questo periodo una statua collocata in una "grotta" nei pressi del complesso. Angelo Chemin, Eremo di San Giorgio di Solagna (PDF), su osservatorio-canaledibrenta.it, Osservatorio del paesaggio del Canale di Brenta. URL consultato il 17 settembre 2022 (archiviato dall'url originale il 9 settembre 2016). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su eremo di San Giorgio Eremo di San Giorgio, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Pove del Grappa
Pove del Grappa

Pove del Grappa (Póe in veneto) è un comune italiano di 3 106 abitanti della provincia di Vicenza in Veneto. Il Comune di Pove del Grappa è situato nel nord-est della Provincia di Vicenza. Il territorio si sviluppa da quota 100 (riva sinistra del fiume Brenta) fino a quota 1.529 m s.l.m. (Monte Asolone) del Massiccio del Grappa. Pove è l'ultimo paese che si incontra sulla destra prima di imboccare il Canale di Brenta, importante valle del fiume Brenta e via di transito verso la Valsugana, Trento e il nord Europa; per chi proviene da nord è il primo paese che si apre alla Pianura Padana. La posizione soleggiata, al riparo dai venti e fuori dal pericolo di nebbie e brinate, frequenti nella pianura sottostante, regala un clima mite e piacevoli viste. Dalle pendici del Grappa si possono scorgere il Ponte degli Alpini, il Brenta, e i frontali colli di Sant'Eusebio, Privà e Caluga, ma soprattutto l'estendersi della pianura dai Colli Berici agli Euganei e, in condizioni di luce ottimali, fino al Piave. Grazie alla SS 47, che attraversa la parte sud del comune, risulta comodo e rapido raggiungere le vicine città. Pove è suddivisibile in tre distinte fasce geografiche a seconda dell'altitudine: Quota 110-250 m s.l.m. Compresa fra il fiume Brenta e le pendici del Grappa, è la zona maggiormente urbanizzata, suddivisa a sua volta in due sottozone: quella ubicata ad ovest della SS 47, con numerose attività produttive, in cui si rilevano due contrade storiche, Via Rea e Via Boschi; quella ad est della SS 47 che comprende la zona maggiormente urbanizzata, il municipio e le principali infrastrutture. Quota 250–780 m s.l.m. È la fascia che collega la pianura con la zona montana, caratterizzata da pendenze variabili e da suggestivi sentieri, alcuni dei quali didattici, immersi fra pareti sassose, creste (che fungevano da trincee naturali), gallerie e cunicoli scavati nella roccia durante la prima guerra mondiale. Quota 780-1.529 m s.l.m. Ubicata a monte della zona di mezza costa, fra le località Costalunga, Nosellari, Campo Solagna, Ponte San Lorenzo, Val della Giara e Cibara, è costituita da boschi e pascoli a basse pendenze. Sono presenti edifici che fungono da seconde case, bar, trattorie e alcune malghe dove si pratica l'alpeggio estivo. La cima più alta è il Monte Asolone posto a 1.529 m e frontale a ovest di Cima Grappa. Il più antico documento che nomina la "Villa di Pove" risale al 917. Citata come Povedum nel 1189 e come Poveo nel 1297, la forma attuale compare solo nel 1577. Probabilmente è un fitonimo derivato da Poa, genere di graminacee molto diffuse in Veneto, con l'aggiunta del suffisso -ētum. La specifica "del Grappa" è stata aggiunta con DPR 29 aprile 1950, n. 405. Pove del Grappa è citata in un documento del 917 come parte della Marca Trevigiana, alla quale rimase fino al 1160, per poi passare alla signoria Ezzeliniana, sotto la reggenza di Ezzelino II. Nel 1198 divenne posto di confine fortificato sotto Vicenza. Fu interessata dalle vicende umane e storiche degli Ezzelini, accertate, censite e documentate dopo la loro definitiva sconfitta avvenuta nel 1260. Nei secoli XV e XVI fu in contesa con la vicina Romano per questioni territoriali. Lo stemma è stato concesso con regio decreto del 2 dicembre 1937. È inquartato: il 1° e 4° d'azzurro, con un pioppo sradicato al naturale; il 2° e 3° di verde alla croce d'argento. Il gonfalone è un drappo di azzurro. Sulla cima dolomitica della Bastia (detta anche "Cornon" per il suo prominente addentramento nel Canale del Brenta), fra i territori di Pove e di Solagna, a m 350 d'altezza, si possono notare ancora le tracce delle fondamenta di antiche fortificazioni da cui il monte prende il nome. Secondo la tradizione, gli Ezzelini, che avevano beni e castello anche a Solagna, fabbricarono la bastìa, come pure la torre ai piedi del monte per chiudere la strada, e la muraglia che univa questi due forti. Il complesso fu restaurato da Francesco di Carrara nel 1370 e da Gian Galeazzo Visconti nel 1401.. La chiesa dedicata a san Vigilio (patrono) risale al periodo neoclassico. La facciata fu terminata nel 1869. All'interno, affreschi di Giovanni De Min (1848), un crocifisso ligneo fiammingo del Quattrocento, di pregevole fattura, pale di Jacopo da Ponte (San Vigilio in gloria del 1537, posta sull'altare) e di Gerolamo Bassano, noto anche come Girolamo dal Ponte. Sono inoltre presenti altari del Settecento. All'interno della chiesa è presente anche un crocifisso ligneo quattrocentesco (132x110 cm) che la tradizione vuole essere stato realizzato in una sola notte da un pellegrino boemo (o austriaco o boemo) diretto a Roma, in occasione del Giubileo del 1300. Secondo una leggenda locale, il pellegrino lo avrebbe realizzato in due giorni e una nottata a partire da un tronco d'ulivo per donarlo poi al parroco di Pove in segno di riconoscenza per l'ospitalità ricevuta. Il manufatto sacro ha dato ispirazione alle feste del Divin Crocifisso di Pove del Grappa. Nel territorio comunale sono anche presenti due chiesette di epoca antecedente: la più centrale, dedicata a san Pietro, è probabile divenne una delle chiese incastellate dopo il diploma di Berengario I nel 915. Nel 1189 Pré Viviano giura fedeltà a Vicenza entro la cinta di questa chiesetta (apud centam sancti Petri). Nel 1488 risulta in cattive condizioni (appare senza il tetto). Venne quindi restaurata nel corso del Cinquecento. La chiesa al suo interno custodisce tre altari (sec. XVII) con pale (del 1700): San Pietro, Apollonio e santa Lucia, San Bovo, San Giuseppe. La chiesa si trova dietro all'attuale piazza Europa in prossimità del Museo dello Scapellino Povese. La chiesa di San Bartolomeo (o di San Bortolo), databile a prima del 1000, è una piccola chiesetta costruita dai frati Benedettini vicino all'intersezione tra la Strada Imperiale che portava in Germania e la Pedemontana che serviva i territori dal Piave al Brenta. È l'unica chiesetta del territorio che conserva l'architettura antica. Se ne riscontrano tracce nel documento di Berengario (915) con cui la donava al vescovo di Belluno. Era allora nota come chiesa di S. Bartolomeo della Nave. La bella chiesetta si trova lungo la riva destra del fiume Brenta nelle prossimità di Villa Rubbi. I Rubbi la acquisirono nel 1929 rendendola agibile dopo che, nel 1800, venne chiusa al culto per il degrado in cui versava. La piena del 1966 spazzerà via il protiro, mentre i preziosi affreschi vennero collocati al Museo di Bassano. Alla morte del proprietario la chiesetta venne data in eredità alla Fondazione Pirani-Cremona che la gestisce tuttora. L'edificio, difficilmente visibile da lontano, è accessibile a piedi dal sentiero del lungo Brenta. Sul territorio del paese sono presenti una cinquantina di capitelli votivi. Abitanti censiti Una prima processione avvenne probabilmente nel 1795, ma la prima menzione scritta risale al Libro Giornale del Commune di Pove del 1797; questa però assunse la forma di una rappresentazione sacra a cadenza quinquennale solo nel 1815, come riportato dall'allora vescovo diocesano nel 1832. Le feste sono ispirate alla leggenda del Crocifisso ligneo del XV secolo della chiesa di San Vigilio, che la tradizione vuole scolpito in una notte da un tronco d'ulivo da un pellegrino (boemo o austriaco) e donato al parroco del paese, in segno di gratitudine per l'ospitalità ricevuta.. Dall'Ottocento, le feste hanno cadenza quinquennale e si tengono negli anni che terminano con 0 o 5, solitamente la prima Domenica del mese di settembre. Fino ad oggi solo tre volte non sono state celebrate: nel 1915 e nel 1940, a causa rispettivamente della prima e della seconda guerra mondiale, e nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19. In occasione delle feste, il crocifisso ligneo viene rimosso dalla teca che lo ospita nella parrocchiale di San Vigilio e, dopo essere stato intronizzato, viene portato per le vie del paese. Dal 1885 alla processione si affianca una sacra rappresentazione della Passione di Cristo. Sfilano oltre 600 personaggi in costume raffiguranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, culminando con la rappresentazione notturna della morte e della resurrezione di Gesù Cristo. (A) Pove co no sventa piove, oppure A Pove o sventa o piove / A Pove quando non fa vento piove Pove, paese de gran conforto: co no piove, sventa o sona da morto / Pove, paese dove si vive bene: quando non piove, o c'è il vento oppure (la campana) suona a morto Co'l Caìna gà el capeło el tempo no ze beło / Quando il Monte Caina (situato di fronte al paese di Pove del Grappa) è avvolto dalle nubi (ha il capello) il tempo non è bello A Poe, se sémena sałata (patate), se cava saółe / A Pove semina insalata, ma si raccolgono cipolle (I poàti dicono una cosa ma ne fanno un'altra) Pove ha tre frazioni che si trovano nella parte montana del paese: Costalunga (a circa 2 km dal centro), Ponte San Lorenzo (una parte) e Val della Giara (a circa 7 km). Sono quattro i tipi di marmo e pietra estratti dalle rocce del monte La Gusella e dal Praolin che si ergono su Pove del Grappa. In primis il Biancone (o Biancon), simile al marmo, che ha reso famosi gli scalpellini povesi nel mondo per la sua somiglianza al Marmo di Carrara; il Guaregno, un calcare rosa screziato di bianco e ricco di fossili; il Corsoduro; ma soprattutto il Campaniletto (dalla colorazione grigiastra). Legata all'estrazione del marmo era l'arte dello scalpellino. Il noto architetto Vincenzo Scamozzi ne dà ampia risonanza nel suo trattato sull'architettura universale riconoscendo alle cave di Pove e agli scalpellini povesi una notorietà diffusa su tutto il territorio vicentino . Tra le opere, che si conservano nelle vicinanze, derivano dai povesi il Tempio-Ossario di Bassano, l'Ossario di Asiago e l'Ossario del Grappa. Gli scalpellini furono chiamati da Napoleone a lavorare nelle Procuratie di Venezia, dal Canova per la costruzione dei tempio di Possagno, ma anche all'estero: la cattedrale di Colonia, la Basilica di Santa Teresa a Lisieux in Francia, il monumento eretto alla regina Elisabetta, il Palazzo del Governo di Berlino e, dopo l'ultima guerra, il monumento all'Europa a Bruxelles. Agli scalpellini di Pove si deve anche l'altare, in pietra proveniente del monte Grappa, situato nella cripta del Milite Ignoto, all'interno del Vittoriano. Importati dai Romani, ci sono tracce fin dal 1131 quando la presenza degli ulivi nella zona di Angarano, fu documentata in un atto di compravendita agraria. I lunghi secoli di coltivazione selezionarono poi la pianta, affinandone l'adattabilità al clima locale e rendendola estremamente resistente ai freddi inverni del pedemonte. Componente fissa del paesaggio agrario, l'olivo intreccia i suoi coltivi alle rustiche abitazioni; la gente ha per questa pianta un'affezione innata che spinge a coltivarla in ogni ritaglio di terreno. La produzione, di recente rivalutata e tutelata (a denominazione di origine controllata), avviene mediante brucatura in modo del tutto manuale o con l'ausilio di particolari pinze. Per la particolarità della zona, l'olio extravergine prodotto è di qualità rinomata a livello locale e nazionale, ed è fiore all'occhiello dei ristoratori per la scarsissima percentuale di acidità contenuta. Con le sue oltre 20.000 piante d'ulivo coltivate Pove fa parte delle Città dell'Olio d'Italia . O. Brentari, Ecelino da Romano nella mente del popolo e nella poesia, Cittadella 1994, pp. 128–130. Monte Grappa Stazione di Pove del Grappa-Campese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pove del Grappa Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Pove del Grappa Sito del Comune di Pove, su comunedipove.it. URL consultato il 17 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 29 dicembre 2018). Sito delle Feste Quinquennali in Onore del Divin Crocifisso, su festedelcristo.com. Mappa di Pove del Grappa, su maps.google.com.

Campolongo sul Brenta
Campolongo sul Brenta

Campolongo sul Brenta (Canpołongo sol Brenta in veneto) è un centro abitato del comune italiano di Valbrenta, in provincia di Vicenza, di cui costituisce un municipio. Già comune autonomo, il 30 gennaio 2019 si è fuso con Cismon del Grappa, San Nazario e Valstagna per costituire l'ente attuale. Il territorio del municipio di Campolongo si allarga sul versante occidentale del canale di Brenta, comprendendo sia la stretta fascia pianeggiante del fondovalle (dove si concentrano gli abitati), sia l'estesa zona montuosa che la sovrasta a ovest. Quest'ultima si caratterizza per la presenza di valli (valle Vallerana, val Tornà, val Dritta, valle dei Salti, val Fagarè), rimaste boscose perché impervie e poco produttive, alternate a cime che superano i 1000 metri di quota (monte Caina 1002 m, monte Campolongo 1142 m, colle dei Tre Confini 1232 m) caratterizzate da ampie estensioni prative e pascolive. Tra il Caina e il Campolongo si distribuiscono alcuni insediamenti legati all'alpeggio, le cosiddette "Casare di Campolongo" che si trovano nei pressi dell'abitato di Rubbio. Il toponimo è un composto legato evidentemente alle caratteristiche del territorio. La specifica "sul Brenta" alla denominazione del comune fu aggiunta con il regio decreto n. 3893 del 18 agosto 1867 per distinguere il comune da altre località omonime. Anticamente il territorio appartenne alla Federazione dei Sette Comuni, in seguito divenne comune autonomo. Nel 2018 la popolazione ha votato in maniera favorevole a un referendum per la fusione del comune di Campolongo con altre entità comunali della valle del Brenta.In origine Campolongo sul Brenta comprendeva anche la frazione Campese, la quale venne distaccata e aggregata al comune di Bassano con il Regio decreto 24 giugno 1878, n. 4432. Lo stemma era di azzurro, alla pianta di tabacco, fogliata di quattro di verde, fiorita d'oro, nodrita nella pianura di verde e circondata da cinque piccoli volti rappresentanti le Contrade dei Sette Comuni. Abitanti censiti Fu eretta nel 1627 dagli abitanti del luogo, a causa dell'eccessiva distanza dalla chiesa di Oliero (alla quale, comunque, fu inizialmente sottoposta). Nel 1651 gli abitanti chiesero e ottennero che un sacerdote celebrasse la messa la quarta domenica di ogni mese. Fu elevata a parrocchiale nel 1664. Secondo un'antica prassi abolita solo nel 1953, erano i capifamiglia ad eleggere il parroco; la scelta veniva poi confermata dal priore di Campese e infine approvata dal vescovo. Danneggiata dai combattimenti della prima guerra mondiale, negli anni successivi è stata restaurata e riconsacrata nel 1928. L'opera di maggior pregio qui conservata è probabilmente il copri-fonte battesimale in legno intagliato e dipinto, eseguito nella seconda metà del Seicento; vi compaiono il Peccato originale e il Battesimo di Gesù, accanto a figure di santi e putti danzanti. Degne di nota, due statue in legno dipinto e dorato raffiguranti i santi Filippo e Giacomo minore; furono realizzate tra i secoli XVII e XVIII, probabilmente da una famiglia di artigiani locali, i Bonato detti "Marti". Le due pale d'altare, raffiguranti la Trinità con i santi Pietro e Paolo e la Madonna che appare ai santi Antonio e Lucia, sono attribuite a Giulio Carpioni, allievo del Padovanino attivo alla fine del Seicento. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Campolongo sul Brenta